 |
L'impalcatura della Macchina |
|
|
Riceviamo e pubblichiamo - Purtroppo non avrei mai voluto trovarmi in questa incresciosa situazione ma questa mia non è, come potrebbe sembrare, una puntigliosa polemica in ritardo.
Mi sento in dovere di farlo solo ora, per il rispetto che ho sempre avuto per gli altri (forse non sempre ricambiato), per il mio lavoro, ma più che altro, per ristabilire la verità su di una esperienza bellissima che per cinque anni mi ha impegnato nella splendida Viterbo, la “Macchina di Santa Rosa”. Non mi pare giusto che questo ricordo debba avere delle ombre.
“Armonia Celeste” mi ha impegnato molto, per tutti i cinque anni della durata dei trasporti, dalla realizzazione a Viareggio, alla definizione dei particolari alla trasformazione che necessariamente ha dovuto avere dopo il primo trasporto e poi le piccole migliorie richieste negli anni successivi.
È stata, per molti versi innovativa, come le modalità di montaggio, l’introduzione del generatore elettrico, che ha consentito l’eliminazione delle batterie con notevole riduzione del peso, ed altre soluzioni architettoniche, mi sembra, anche in parte, riprese da un altro in seguito).
L’episodio che ha scatenato in me la ribellione e la non accettazione di quanto dirò nel proseguo è stato questo.
Giorni fa, degli amici sono capitati a Viterbo e sono entrati nella sede del sodalizio dei facchini, ivi sono raccolte le antiche macchine e vi si vendono i biglietti per il trasporto di questo anno.
Il più giovane della famiglia si è avvicinato al bozzetto che i genitori gli avevano indicato, dicendo appartenere ad “Armonia Celeste” (di mia ideazione e assistenza nonché direzione con il contributo nella sola fase di realizzazione del bozzetto, da parte del signor Joppolo) il ragazzo lo ha osservato attentamente poi, con la faccia delusa, si è rivolto ai genitori “Ma questa non è di Alfiero! Non c’è scritto il suo nome”.
Ora mi farebbe piacere sapere perché questo sia accaduto, perché col passare degli anni il mio nome è scomparso dalla storia della Macchina di Santa Rosa. Notai anni fa che anche sul bozzetto in mostra al comune, il nome era uno solo e non certo il mio. Mi chiedo allora cosa occorre per avere il riconoscimento della paternità di un’opera, bisogna per forza avere avuto compensi in denaro o altro? Parrebbe di si!
Ora visto che il sottoscritto non ha ricevuto altro che qualche grazioso invito a cena e, come facchino aggiunto ad honorem, non ho avuto compenso alcuno (d'altronde da me mai rivendicato e richiesto), l’opera è diventata solo di un altro?.
L’opera ed il mio contributo di lavoro è stato liberamente dato a Santa Rosa, al sodalizio dei facchini e a Viterbo, ricevendo in cambio l’esperienza umana, avendo avuto la gratificante occasione di vivere questo evento in prima persona. Allora, non sono degno di essere ricordato?.
Ma le opere dell’ingegno per legge sono tutelate, anche perché, vi sono degli atti burocratici, verificabili presso la sede comunale da chiunque lo voglia, come la presentazione del progetto, poi approvato, con la firma sia dei presentatori che degli ideatori (architetto Alfiero Antonini e il signor Roberto Joppolo).
L’antefatto è questo ma basterebbe sentire i sindaci di quel periodo dott. arch. Pio Marcoccia e l’onorevole Giuseppe Fioroni, poi l’ing. Rocchetti, il signor Sensi, il signor Governatori e il presidente della confraternita dei facchini di Santa Rosa di quel periodo, signor Nello Celestini, il figlio Lorenzo, il signor Adami ed altri che potrebbero dire loro la verità e il loro pensiero a proposito di quanto sia veramente successo.
Allego alla presente le sorprese che ho avuto visionando su internet il sito dei facchini di Santa Rosa ed altri siti e più di ogni altro anche il sito del signor Joppolo, che in fatto di autoincensi e di scippo non ha scherzato affatto cancellandomi dalla sua storia della Macchina di Santa Rosa. Credo che la lettura, per il pubblico, di quanto spero pubblicherete, sia giustificativa di questa mia rimostranza.
Attendo giustificazioni da tutti coloro che hanno inconsapevolmente commesso questa scorretta inesattezza e riscontro a questa mia, avvertendo sin d’ora, che se non avrò garanzie sufficienti e giusti riscontri, adirò alle vie legali per il rispetto di quei bellissimi cinque anni, nei quali non mi pare che Joppolo sia mai stato presente a far si che la Macchina ed il sodalizio compissero, nel modo che hanno fatto, i loro trasporti.
Chiedo pertanto che sui bozzetti, tutti e su quelli esposti al pubblico nelle vetrine e in particolare nelle sedi istituzionali sia apposto anche il mio nome come ideatore e direttore dei lavori accanto a quello dell’illustre Joppolo e vengano apportate le dovute correzioni sui vari siti internet da me visitati e sulla stampa.
Poi vista l’occasione di sfogo, che non mi è usuale, vorrei far notare a chi di dovere, che sarebbe stata cortesia gradita ed un atto, forse dovuto, l’invito ad assistere al trasporto della Macchina, ma forse questo è chiedere troppo. Ribadisco che mi riservo di tutelare il mio nome in ogni sito fino alla Procura della Repubblica se, tirato per il “ciuffo”.
Alfiero Antonini
|