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Viterbo - Riflessione sul verde pubblico e appello ai politici
I Cimini non devono morire
di Oreste Massolo
Viterbo - 13 agosto 2010 - ore 2,15

Oreste Massolo
- Muovendo dalla denuncia di un cittadino per il taglio dei pini in via Leonardo da Vinci e da un commento del direttore di Tusciaweb, si è sviluppato, nelle settimane scorse, un importante dibattito sulla presenza degli alberi e del verde nel capoluogo della Tuscia.

L'amore per gli alberi e per il verde è più diffuso di quanto si può pensare;la presenza e la cura del verde sono comunque un segno di civiltà. Le città prive di verde sono di solito segnate da sotto sviluppo ed appaiono depresse.

Non mi sono mai associato alle polemiche di chi critica le rotonde con i fiori o con il pratino e sono felice quando ne vedo una nuova, se utile per la regolazione del traffico delle auto.Bella quella che è stata realizzata dopo gli Uffici comunali di via Garbini con quel magnifico ulivo posto al centro.

Lo scorso anno sono stato in Provenza: le rotonde, numerosissime, arredata ognuna diversa dall'altra, sono il risultato di una straordinaria cultura del giardino e del paesaggio!

Ho letto che lo scrittore Italo Calvino amava così tanto gli alberi che, dovendo far costruire una nuova casa su un terreno sul quale insisteva un pino secolare e non volendolo tagliare, fece girare intorno tutte le pareti,lasciando un piccolo giardino all'interno, in modo da preservare il vecchio albero.

Per Viterbo,tuttavia, due problemi, in vero non nuovi,mi sembra necessario porre.

Il primo  investe la insufficiente  presenza di alberi nelle piazze e nelle strade, ovviamente dove essa è possibile.

Domando: esiste un piano per incrementare le alberature, da realizzare nel tempo? Laddove le piante rientrano nelle opere di urbanizzazione, sono, poi, effettivamente messe a dimora?

Chi decide quale tipo di alberi collocare in citta? Quali sono le sue competenze?

Problemi e domande si pongono anche per i modi con cui effettuare le potature e per i tempi in cui eseguirle; aspre poemiche visono state nel recente passato.

Più in generale,ad esempio, per gli alberi di Roma se ne è occupato, in questi giorni, Fulco Pratesi dalle pagine della cronoca di Roma del Corsera.

A Viterbo esiste, presso l?Universtà della Tuscia, la Facoltà di Agraria: il Comune ha stipulato una convenzione per avere consulenze, consigli, chiarimenti sul verde pubblico o per definire programmi? Sono tutti interrogativi che,nell?interesse generale, dovrebbero avere una risposta.

Si è, dunque, constato quanta positiva attenzione vi sia per il  verde.

A questo punto desidero sollevare un altro enorme problema che mi sembra largamente sottovalutato. I castagni dei Cimini stanno morendo: un paesaggio strordinario rischia di essere profondamente compromesso.Non si tratta solo di un rilevante danno economico per chi produce castagne, ma di una mutazione profonda dell'?ambiente:pensate ad immaginare i Cimini con gli alberi secchi per sempre; come non avvertire un dolore profondo?

E ormai noto a molti che i castagni sono aggrediti dal Cinipide, un imenottero originario della Cina, poi passato in Giappone nel '41 e,quindi in Corea nel '63 per negli USA nel '74. In Europa arriva nel 2002 con una prima presenza  nella Provincia di Cuneo; dal Piemonte si diffonde rapidamente nella Emilia Romagna, in Toscana, nel Lazio, dove è comparso per la prima volta proprio sui Cimini nel 2005, ed in Campania.

Come opera: sulle foglie si presenta una galla che contiene dalle 100 alle 150 uova; tra fine maggio ed inizio di luglio le uova si schiudono e gli insetti agiscono sulle foglie facendole prima arricciare, poi seccare e quindi cadere.

Nella casa a San Martino, dove trascorro i mesi estevi, un gigantesco e secolare castagno, forse risalente ai tempi di Donna Olimpia,  protende i  rami fino alle finestre dell'abitazione e quest'anno, in cui è arrivato il maledetto insetto, ho avuto modo di seguirne il  rapido diffondersi e la devastante azione. Sembra essere nel Vietnam quando gli americani usavano i defolianti per stanare i soldati nascosti nelle foreste e non esagero, credetimi.

Lìunica azione di contrasto, a quanto è dato sapere, è la lotta biologica, obbligatoria con un decreto dell'ìottobre 2007 con il quale si è recepita una direttiva europea dell'anno precedente, lotta che si attua lanciando un insetto antagonista, il Tarymus, anch'esso originario della Cina, che mangia il Cinipide. Lotta, tuttavia, difficile,lunga ed incerta che, comunque, è iniziata ad opera della Regione Lazio con alcuni lanci nei Cimini ed anche a San Martino.

Non si possono, per tanto, impiegare antiparassitari perché inefficaci, oltre al fatto che uccidono anche  insetti autoctoni che in qualche modo contrastano la presenza del Cinipide.

Che senso ha, allora, la pubblicità da me vista presso il Consorzio agrario provinciale, di un antiparassitario, per di più in attesa di riconoscimento ministeriale, efficace contro il micidiale eminottero?

L'ex assessore regionale Battistoni, nei pochi giorni in cui è stato in carica, aveva dimostrato consapevolezza della gravità della situazione; mi auguro che la signora  Birindelli, ingegnere, ne abbia altrettanta.

E' necessario tener desta l'attenzione. Sarebbe quanto mai utile,a mio giudizio, svolgere una seduta  straordinaria del Consiglio Provinciale  con la presenza dei Sindaci interessati, dell'assessore regionale, di esperti sia dell'Universtà della Tuscia che nazionali.

Occorre il punto della situazione e rendere noti gli interventi per il futuro. Spero che il Presidente della Provincia Meroi, quanto mai attento, raccolga il suggerimento: lìopinione pubblica deve essere continuamente informata.

I Cimini non devono morire!

Oreste Massolo


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